giovedì 29 dicembre 2016

Come ciottoli nel mondo

Racconto secondo classificato alla seconda edizione del concorso "Caro Fabrizio, ti racconto un viaggio", sezione A, giovane - under 20.


Ricordo. 

Ricordo ancora quando intraprendevi quei sentieri sdrucciolevoli che tanto detestavo ma che tu amavi percorrere. Sentieri sempre diversi, talvolta immersi nel verde e altre inghiottiti dall' arida terra che sempre la natura aveva accolto. Io odiavo quando tu scalciavi quei sassolini tutti uguali: a cosa servono quegli inutili ciottoli? Che posto occupano nel mondo? Sono sempre lì, nessuno sa che esistono eppure giacciono su quelle strade sterrate probabilmente da sempre. Sei probabilmente l' unico ad attribuire un minimo di importanza a ciascun ciottolo di pietra, ma questo a te non è mai interessato.
Mi chiedo se tu ti sia mai identificato in un sassolino ma questo non me l' hai mai detto. 
Un giorno però mi dicesti che avresti voluto essere uno di quei sassi e, quando ti feci notare che per me erano tutti uguali, sorridesti. Non credo che tu abbia notato il disprezzo nella mia voce mentre mi riferivo a quegli anonimi pezzi di pietra grigia, però ricordo che tirasti un forte sospiro malinconico che sarebbe benissimo passato per un moto di invidia. A quel punto ti fermasti e ne raccogliesti uno riflettendo a voce che alta che almeno loro possono guardare il cielo ogni volta che lo desiderano, e riprendesti a passeggiare senza smettere di stringere quel sasso uguale ma diverso da tutti gli altri nel tuo pugno chiuso e fermo.
Ora un po' mi manca lo scricchiolio dei tuoi passi sicuri, così fuori luogo rispetto ai miei incerti, smarriti e anonimi. 
A te piaceva guardare il cielo. Mi sono sempre chiesto cosa ci trovassi in quell' infinita distesa blu sempre uguale, ma tu non hai mai smesso. Dicevi che in realtà è sempre diverso e forse solo ora comincio a capire cosa intendevi dire. 
Sotto questo stesso cielo, mi raccontavi, ci siamo tutti quanti: io, te, mia mamma, e tutte quelle persone di cui la gente ha ormai dimenticato volti e nomi, eppure siamo tutti sotto questo cielo infinito che accetta tutti. Quella volta scoppiai a ridere, lo ricordo bene questo, e allo stesso modo avrò sempre in mente vividamente il sorriso gentile che mi rivolgesti. Dio, quanto mi vergogno adesso! Vorrei tornare indietro e abbracciarti tanto forte da impedirti di andar via, tanto stretto da non permettere che tu ti allontani, con tanto affetto che ti farei sentire i battiti del mio cuore, fermi e decisi solo quando sei con me a dettare il tempo di ogni sorriso.
Spero che tu non abbia dimenticato quella volta in cui chiesi di poter fare una pausa e tu scoppiasti a ridere dicendo che eravamo appena partiti: nonostante fossimo in cammino ormai da ore le tue gambe avrebbero potuto percorrere distanze senza eguali per interi giorni pur di raggiungere le mete che adoravi prefiggerti, e ogni volta che raggiungevamo una meta sapevo bene che eri combattuto dalla tentazione di rimanere per sempre immerso nella natura e allo stesso tempo di continuare a viaggiare per il mondo. Quel mondo che troppo spesso dimenticava il cielo e il sassolino nella tua mano.
Ma perchè un solo ricordo può fare tanto male? Sento una presa forte al cuore, come la tua mano quando stringesti a te quel sasso, e allo stesso tempo attraversa ogni centimetro del mio corpo ridotto a un fremito, fino a quando non si blocca in gola, non va più su, e non torna giù, e allora mi sento soffocare, vorrei urlare ma non posso, sento solo qualcosa di caldo rigarmi il volto e il vuoto che mi attanaglia come una morsa da cui non potrò mai liberarmi. 
Però il ricordo del tuo sorriso è ancora lì, i tuoi occhi sono sempre rivolti a quel cielo nostro amante e l' eco dei tuoi passi non smette di scandire il giusto tempo al mondo. 
Infine sospiro e riprendo a camminare: sto venendo da te, Fabrizio, tu aspettami. Intanto guardiamo il cielo come i fortunati sassi che siamo.
Un giorno lo guarderemo di nuovo insieme ma, per il momento, ricordo.



Sara RUSSO, V A

Nessun commento:

Posta un commento