L’esito del voto referendario del
4 dicembre ha sancito non solo la vittoria dei sostenitori del “NO” ma anche la
fine del governo Renzi, il quale aveva avanzato e sostenuto fortemente la
proposta di revisione costituzionale.
Appresa la notizia della vittoria
del “NO” con circa il 60% dei voti, il Presidente del Consiglio Matteo Renzi a
Palazzo Chigi ha così commentato: “Volevo cancellare le troppe poltrone della
politica italiana: il Senato, le province, il CNEL. Non ce l’ho fatta e allora la
poltrona che salta è la mia”, sancendo la fine del suo governo e aprendo la
fase di crisi che pochi giorni dopo sarebbe stata risolta con lo scioglimento
della riserva da parte del Presidente del Consiglio incaricato Paolo Gentiloni.
La bocciatura del referendum ha decretato
la sconfitta di coloro che, sostenendo il “SI”, invocavano il cambiamento e una
semplificazione del sistema. A vincere sono stati i sostenitori del “NO”, che
reputavano la riforma pasticciata e ne vedevano all’interno un rischio di
limitazione della sovranità dei cittadini. Inoltre, anche grazie ai leader dei
principali movimenti politici che durante la campagna elettorale si sono di
fatto sottratti al dibattito nel merito della riforma e hanno limitato il
confronto alla polemica, il referendum ha assunto una valenza principalmente
politica.
All’indomani del 4 dicembre,
tutte le forze, di maggioranza e di opposizione, hanno incominciato a
interrogarsi sulle decisioni da prendere per risolvere la crisi di governo
aperta dalle dimissioni di Matteo Renzi, dividendosi, per l’ennesima volta.
Da una parte, infatti, si sono
schierati coloro che invocavano le elezioni anticipate, da un’altra coloro che
avrebbero voluto “armonizzare” il sistema, cioè estendere l’“Italicum”, la
legge elettorale attualmente in vigore per l’elezione della Camera, anche al Senato,
poiché adesso esistono due leggi distinte per eleggere i rappresentanti in
Parlamento: i senatori, infatti, vengono eletti con il “Consultellum”. Da
un’altra parte ancora, invece, si sono schierate quelle forze politiche che
volevano un governo in grado di coadiuvare il Parlamento nella stesura di una
nuova legge elettorale.
Alla fine, dopo le consultazioni
di rito, il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha conferito il
mandato per formare un nuovo esecutivo a Paolo Gentiloni, esponente del partito
con più seggi in Parlamento, il PD, nonché ex ministro degli Esteri del governo
Renzi. Tuttavia, la nomina di Gentiloni ha fin da subito suscitato le polemiche
dei partiti di opposizione poiché il premier incaricato ha presentato un
governo “fotocopia” di quello dimissionario.
L’ex titolare della Farnesina,
oltre a dover risolvere i problemi legati alla legge elettorale, avrà il compito
di rappresentare l’Italia durante alcuni vertici Internazionali tra i quali il G7,
ospitato proprio dall’Italia a Taormina nel maggio prossimo.
Il voto del 4 dicembre ha
manifestato la voglia di partecipazione alla vita politica degli italiani, fenomeno
che non si vedeva da tempo nelle varie tornate elettorali italiane. Il dato
sull’affluenza alle urne è stato, infatti, di poco inferiore al 70% degli
aventi diritto.
Il referendum ha però aperto
anche una fase di dibattito interno ai partiti, in particolare al Partito
Democratico, la forza politica che più di ogni altra aveva sposato le cause del
“SI” e che ha visto l’improvvisa uscita di scena da Palazzo Chigi del proprio
segretario, ritiratosi nella sua casa toscana di Pontassieve.
Andrea FERRERA, IV A